Regia: Federico Fellini
Soggetto: Federico Fellini, Tonino Guerra
Sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra, Tullio Pinelli
Fotografia: Tonino Delli Colli, Ennio Guarnieri
Operatore: Aldo Marchiori, Carlo Tafani, Gianni Fiore
Assistente operatore: Gianfranco Torinti, Antonio Scaramuzza, Marco Sperduti, Luca Luparini
Musica: Nicola Piovani (diretta dall’autore)
Scenografia: Dante Ferretti
Assistente scenografia: Franco Ceraolo
Effetti speciali: Adriano Pischiutta
Costumi: Danilo Donati
Arredamento: Gian Franco Fumagalli
Architetto: Nazzareno Piana
Assistente costumista: Rosanna Andreoni
Pitture: Rinaldo Geleng, Giuliano Geleng
Coreografia: Tony Ventura
Montaggio: Nino Baragli, Ugo De Rossi, Ruggero Mastroianni
Assistente al montaggio: Marcello Olasio
Segretario di edizione: Norma Del Pace Giacchero
Aiuto regia: Gianni Arduini
Assistente alla regia: Filippo Ascione, Daniela Barbiani, Eugenio Cappuccio, Anke Zindler
Trucco: Alfredo Tiberi
Parrucchiere: Aldo Signorelli, Rosa Luciani, Giancarlo Marin
Produttore: Alberto Grimaldi
Organizzazione generale: Luigi Millozza
Direttore di produzione: Walter Massi, Gianfranco Coduti, Roberto Mannoni, Raymond Leplont
Ispettore di produzione: Tullio Lullo, Fernando Rossi, Vieri Spadoni, Franco Marino
Segretario di produzione: Alessandro Mancini, Lyda Garozzo, Carla Ferroni, Maurizio Pigna, Filippo Spoletini, Marcello Mancini
Direttore del doppiaggio: Mario Maldesi
Mixage: Fausto Ancillai
Cast
Giulietta Masina : Ginger
Marcello Mastroianni : Fred – ep. Roma
Franco Fabrizi : presentatore
Frederick Ledenburg : ammiraglio
Augusto Pederosi : travestito
Martin Maria Blau : aiuto regista
Jacques Henri Lartigue : il frate volante
Toto Mignone : Toto
Ezio Marano : intellettuale
Antonie Saint Jean : assistente
Frederick Thun : sequestrato
Antonio Lorio : ispettore TV
Barbara Scoppa : giornalista
Elisabetta Flumeri : giornalista
Salvatore Billa : Clarke Gable
Ginestra Spinola : madre voci trapassati
Stefania Marini : la segretaria TV
Francesco Casale : mafioso
Gianfranco Casale : mafioso
Gianfranco Alpestre : avvocato
Filippo Ascione : pianista
Elena Cantarone : infermiera
Cosimo Chiusoli : la moglie dello spretato
Claudio Ciocca : cameraman
Sergio Ciulli : figlio voci trapassati
Federica Paccosi : ballerina
Alessandro Partexano : marinaio
Tiziana Bucarella
Leonardo Petrillo : Marcel Proust
Renato Grilli : Franz Kafka
Daniele Aldrovandi : Marty Feldmann
Barbara Montanari : Bette Davis
Barbara Golinska : Marlene Dietrich
Luigi Duca : Adriano Celentano
Eolo Capritti : Kojak
Premi
Nastro d’argento per miglior attore
Nastro d’argento per miglior attrice
Nastro d’argento per miglior scenografia
Nastro d’argento per migliori costumi
David di Donatello per miglior attore
David di Donatello per miglior musica
David di Donatello per migliori costumi
Premio David René Clair a Federico Fellini per il film
Nomination BAFTA (British Academy of Film and Television Arts Awards) per il miglior film straniero
Critiche
Testimone d’una civiltà avviata ad autodistruggersi mediante un sistema di comunicazioni che adultera la conoscenza, il cinema del nuovo Fellini è dunque un lamento sulla inattendibilità dei messaggi trasmessi fra popoli, individui e istituzioni, non ispirati a valori assoluti, ma metafore di verità provvisorie. E’ il gemito di un artista che in ognuno dei suoi personaggi, nei loro amori clandestini, nei loro intrighi, nelle loro movenze celesti o brutali legge le smorfie della società e le illusioni di qualche anima candida. Dunque un cinema sconfortante se ancora una volta la potenza della rappresentazione, l’incisività dei ritratti, il tragicomico di certe situazioni non ribaltasse l’angoscia di sberleffo. […] Ponendo il tema dell’imitazione al centro del racconto, e ricostruendo quasi tutto in studio, Ginger e Fred è il film migliore che sinora sia stato fatto sull’irrealtà in cui viviamo, codificata alla tv. C’è da rallegrarsi che sia toccato a Fellini, un maestro del cinema, ricordarci, amaramente giocando, che da un bel po’ siamo tutti dei sosia, e forse è per questo che sulla terra ci sentiamo spaesati. Non sappiamo più a chi dobbiamo assomigliare.
(Giovanni Grazzini, Il cinemondo. Dieci anni di film 1976-1986, Laterza, Roma-Bari, 1987)
L’accostamento a La dolce vita non è casuale, e non solo per la ragione un po’ banale che un autore – un Fellini, specialmente – continua sempre a fare lo stesso film. Quel che i settimanali in rotocalco erano stati ventisei anni fa per La dolce vita, il mondo della televisione con i suoi megashow è per Ginger e Fred. Non c’è dubbio che Fellini continui a essere se stesso: cantastorie, mago, illusionista, istrione, mistificatore, disposto a tutto pur di giocare le carte dello spettacolo, pur di celebrare la Rappresentazione, pur di suggerire che, nonostante tutto, la vita ha una sua dolcezza profonda, irrinunciabile […] Lo sguardo di Fellini mi sembra cambiato: s’è fatto più sconfortato. Se La dolce vita poté essere definito un viaggio attraverso il disgusto, Ginger e Fred è una traversata del mare della volgarità. E la volgarità è quella della televisione, del diluvio pubblicitario, della civiltà dei consumi. Lo si avverte anche dai segnali, pochi ma inequivocabili, che il film manda sul mondo esterno al megashow televisivo: quelli sulla degradazione di Roma, per esempio.
(Morando Morandini, “Il Giorno”, 14 gennaio 1986)
Un film girato magistralmente e che rinnova il successo di un marchio di fabbrica famoso. Ma che razza di film è? Soltanto un film di circostanza per offrire un’occasione a Giulietta e Marcello? Oppure un film nato da una necessità espressiva e tale da aggiungere qualcosa a ciò che sapevamo di Fellini e del suo mondo? La risposta quasi unanime dei giornali francesi, preoccupati per l’invasione berlusconiana, è che Ginger e Fred è una denuncia del genocidio culturale perpetrato nella degenerazione del fenomeno televisivo. Altri ribattono che non si tratta soltanto di un pamphlet contro la tv, ma contro tutta la società di oggi: una specie di Prova d’orchestra Parte II […] Il senso stoico di Ginger e Fred è che forse non c’è niente da capire, bisogna solo vivere. Bisogna imparare a galleggiare come faceva Marcello in La dolce vita; anche se le acque pian piano diventano quelle dello Stige come nel progettato e mai realizzato Il viaggio di G. Mastorna; anche se al giorno d’oggi si ha l’impressione di galleggiare su un mare inquinato come Ginger e Fred.
(Tullio Kezich, “La Repubblica”, 13 gennaio 1986)
Immaginate il film come uno show partorito dalle fantasie riunite di Costanzo, Tortora, Aiazzone, Ed Sullivan, Rai 3 sezione documentari, Silvio Noto, la vecchia Italnoleggio e Jerry Lewis. A tutto questo Fellini dà il tocco dell’artista, quel quid che trasforma in luce la notte, in sublime il volgare, in Berlusconi l’informe videocassetta. Abbiamo detto “volgare” non in riferimento ad alcuni frammenti osé, come alla scenetta dell’inventore dello slip commestibile che ne dà dimostrazione; né a quella qualità così difficile da rubare alla nostra commedia crepuscolare che irride solo: deboli, vecchi, bambini e sciancati. Ma alla magia di saper parlare su tutto a tutti, alla popolana scienza della conquista del pubblico, che Fellini certo conosce almeno quanto Pippo Baudo e Mike, e gestisce con l’istinto del volpino che non ha bisogno di firmare contratti con Canale 5.
(Roberto Silvestri, “Il Manifesto”, 25 gennaio 1986)