Intervista
Fellini sta girando a Cinecittà un film tratto da America, il romanzo di Kafka. Incalzato dalle domande di giornalisti giapponesi il regista racconta la sua prima visita, nel 1940, agli studi romani; era anche lui un giornalista, agli esordi, venuto a Cinecittà per intervistare una diva famosa. I ricordi di Fellini (gerarchi in orbace, il tranvetto azzurro per Cinecittà che attraversa la campagna romana, gli elefanti imperiali, gli indiani, ecc.) si affollano e si intrecciano con le domande dei suoi frenetici intervistatori, che filmano tutto. Ecco il giovane Fellini che finalmente intervista la diva, e intanto il suo aiuto regista attuale è in cerca di volti nuovi nella metropolitana. Poi arriva la polizia, avvertita da una telefonata della presenza di una bomba; quindi entra in scena Marcello Mastroianni con indosso il frac di Mandrake. E la bacchetta magica di questi farà apparire le immagini della Dolce vita, tra gli applausi dei presenti e le lacrime di Anita Ekberg. Il giorno dopo si riprende a girare America, ma un uragano interrompe le riprese. Una banda di indiani attacca Cinecittà con antenne tv come lance. Le riprese del film terminano, e tutti si salutano augurandosi buon Natale.
Cast tecnico
Segretario di produzione: Mario Mearelli
Cast
Antonello Zanini: il “Chiodo” e tutta la troupe del film
Premi
Nomination César per il miglior film
Curiosità
(Fellini. Raccontando di me, conversazioni con Costanzo Costantini, Editori Riuniti, Roma, 1996, p. 199)
Critiche
Una seconda lettura del film ci conferma nell’impressione che ricavammo a Cannes. Intervista è il frutto singolare di un coscienzioso Fellini che, vuoi per l’umor nero che da tempo lo accompagna (giustificato dal crescere degli anni e dal rancore verso la TV con cui è pur costretto a convivere), vuoi per il frangersi del respiro creativo, ripercorre i mille spunti buffi e dolenti della sua mitologia e ci scherza su per esorcizzarne i ricatti, identificandosi con una Cinecittà mai così compiutamente evocata come fabbrica di cialtronate e di poesia.
E’ stato detto che Intervista è Otto e mezzo con Fellini in persona al posto di Mastroianni, tanti pasticci sentimentali in meno, tanta saggezza in più. Ma è la saggezza di un vecchio clown, capace ormai di “sorridere alla vita e di ogni suo contenuto” (per dirle con le parole di un altro emulo di Charlot, Zeno Cosini). Federico sorride alla solerzia con cui i giapponesi si impegnano a carpirgli l’ultima verità; sorride al limite della lacrima sull’invecchiamento (a bella posta esagerato) di Marcello Mastroianni e Anita Ekberg paragonati alle loro immagini carismatiche in La dolce vita, sorride degli incidenti che costellano la lavorazione del film. Ma, sotto sotto, sorride anche di noi che prendiamo tutte queste sue fantasie per verità assoluta. Intervista è la pagina di un diario apocrifo intriso di sentimenti reali: il sentimento del tempo che cambia, la minaccia di un futuro imbarbarito (televisione uguale assalto degli indiani), l’indecifrabilità di un passato squallido (il fascismo e il suo cinema) o mitizzato (la giovinezza).
Intervista è una superba lezione di cinema. Lo è in tutti i sensi: per l’uso magistrale dei mezzi espressivi del cinema, ma anche per quello che il cinema è, in quanto tale (nel suo farsi, nel suo progettarsi, come sedimento della memoria e anche come “morte al lavoro”). Cinema nel suo farsi perché coloro che lo fanno, come abbiamo detto, come costantemente dietro e davanti la macchina da presa; cinema nel suo progettarsi, perché Fellini pensa e fa i provini per un ipotetico film futuro ispirato ad America di Kafka; cinema come sedimento della memoria, poiché Fellini rivive la chiave deliberatamente fantastica e menzognera la prima volta che egli da giornalista si recò a Cinecittà; cinema come “morte al lavoro”, perché, mai come qui, precisamente nella folgorante, ma anche straziante, rimpatriata di Fellini e Mastroianni con la Ekberg, l’”Anitona” di La dolce vita, si sperimenta su un piano addirittura fisico la verità del vecchio detto, attribuito a Cocteau.
Per capire e amare Intervista, e intenderne i limiti come conviene, basta conoscere la sua genesi produttiva: nato come programma televisivo, è diventato un tv-movie e, infine, un film-film per le sale, come se a Fellini fosse cresciuto tra le mani. E’ un piccolo film, in un certo senso, ma di quale grazia e garbo e brio. Certo che si può dire: lo si è già visto. Ma è anche ingeneroso dirlo se si pensa al piacere che dà. Può dirlo soltanto chi non ha saputo, o voluto, abbandonarsi al suo ritmo festoso, alla sua natura di film che cresce su se stesso come per partenogenesi, all’avvicendarsi di malinconia e allegria, di disarmata sincerità e impudico gioco di prestidigitazione, al disordine sapientemente organizzato, alla sua serenità armoniosa anche se lievemente triste, quella di un cineasta che ormai non ha più bisogno di dimostrare il suo talento o di giustificare le proprie feconde contraddizioni.