La voce della luna
Teatri di posa: Stabilimenti Cinematografici Pontini SpA
Visto censura: 85393 01/02/1990
E’ notte, c’è la luna piena. Ivo Salvini è attratto da una voce; si affaccia a un pozzo, poi un gruppo di uomini che attraversa la campagna lo incuriosisce. Li segue e assiste da dietro le persiane allo spogliarello della zia di uno di loro. Questi si accorge della sua presenza e lo caccia perché non ha pagato. Arriva un amico di Ivo e insieme se ne vanno. Seguono strani incontri, e in uno di questi la nonna di Ivo gli dice che “ricordare è bello, più che vivere”. In un’altra notte, di pioggia, Ivo riesce a contemplare il volto della sua amata mentre dorme finché questa, svegliatasi, lo caccia via. La mattina dopo nella piazza del paese c’è grande confusione di venditori ambulanti e frotte di turisti giapponesi che fotografano tutto. Ivo si rifugia su un tetto, la folla pensa che voglia suicidarsi, poi i vigili del fuoco lo salvano. Intanto i fratelli Micheluzzi cercano di catturare la luna, che si dice dia ordini a piccoli diavoli sulla terra. Ci riescono, e tutto il paese vuole vedere la luna prigioniera. E’ la televisione, su un grande schermo, che proietta le immagini. Un uomo gli spara, e lo schermo si spegne. Allora la piazza si svuota e Ivo, rimasto solo, ascolta la luna.
Cast tecnico
Ispettore di produzione: Piero Spadoni, Nicola Mastrolilli
Cast
Stefano Antonucci
Premi
David di Donatello per miglior montaggio
Curiosità
Critiche
(Morando Morandini “Il Giorno”, 1 febbraio 1990)
La dimensione privilegiata che Fellini sceglie per stilizzare, anche in forme e modi eccentrici, la sua amarissima favola si condensa, peraltro, nel cerchio un po’ magico, un po’ falso d’un archetipico “paese” rappresentativo per sé solo di antiche e oggi sconosciute dolcezze, come dei guasti, della degradazione irresponsabile del consumismo imperante. In simile universo, costantemente dislocato al di sopra o al di fuori di qualsiasi razionale concezione della vita, del mondo, soltanto l’estro saturnino, interamente innocente dei puri di spirito e di cuore – come Salvini, appunto – potrà, forse, riscoprire il latte dell’umana bontà, dell’amore sincero e appassionato, della poesia nativa dei “matti beati”. Tali sono e restano, incorrotti e semplici, il già ricordato Salvini, folle d’amore (non corrisposto) per la fatua Aldina, e l’impettito, megalomane ex prefetto Gonnella, cui l’estromissione dal potere, dal comando mette addosso la geniale smania di negare, a sua volta, ogni cosa, ogni persona presuma di essere, di rappresentare la realtà. Torno torno a simili oblique e ubique ossessioni si muove, per di più, un campionario umano di frustrati, di relitti, di detriti che soltanto nel loro irriducibile, autoillusorio vitalismo cercano di trovare alibi, giustificazione ad un’esistenza vissuta, patita, si direbbe, allo sbando. Beninteso, nonostante questi aspetti angosciosi, il lucido, impietoso apologo felliniano non indugia, né indulge, quasi mai alle coloriture deprimenti. Anzi. Ne La voce della Luna, come in tant’altri film del cineasta riminese, la girandola vorticosa di gags, di paradossi e di parossismi tocca il vertice della prodigiosa maestria e della più surreale esilarazione, pur se la vena sotterranea del film è e rimane acutamente tragica. (Sauro Borelli “L’Unità”, 2 febbraio 1990)
La voce della Luna è una delle più affascinanti e poetiche avventure di Federico Fellini; attraverso sorrisi e buffonerie, una visione del mondo inquietante, disillusa e straziante. Fra leggende, favole e bizzarrie, Fellini ripropone tutto il suo sterminato universo di simboli, memorie, invenzioni: senza mai cadere nel “già visto”, nell’autocitazione, in filigrana si ritrovano, dalla prima all’ultima, tutte le opere del Maestro. Ma in quest’ultimo capolavoro, Fellini filtra ogni stilema, ne ripropone altri di grande originalità, svela una immaginazione intatta e sempre più feconda: con un caleidoscopio di caratteri in cui dolce e amaro, umorismo e malinconia, esuberanza e raffinatezza psicologica, sogni d’evasione e analisi spietate, acutezza di osservazione e varietà di temi, trame sottilissime, si rinnovano in un vorticoso carosello fantastico, ricco di sequenze memorabili. Astratto e fiabesco, irreale e magico, ilare e grottesco, La voce della Luna parla dei miti e dei riti di oggi (la televisione, i fast-food, le discoteche…); si rifugia nel sogno di ieri (la Bassa Padana, l’affabilità emiliano-romagnola, le fiere di paese, la festa del gnocco con Miss Farina, le cascine, le beffe…); si dispiega oltre la cortina effimera e rumorosa del presente. Se Amarcord era il “villaggio totale” della memoria, La voce della Luna è il rifugio ultimo contro le intemperie del mondo contemporaneo. Un film leopardiano, casto e candido come i versi del poeta.