Prova d’orchestra
All’interno di un antico oratorio si svolgono le prove di un concerto sinfonico. Gli strumentisti arrivano a gruppetti e prendono posto. Ci sono anche, in un angolo, i rappresentanti sindacali. Un giornalista televisivo intervista i musicisti: ognuno parla del suo strumento e delle sue esperienze. All’arrivo del maestro, che si esprime con spiccato accento tedesco, la prova inizia con calma. Poi all’improvviso si interrompe per le proteste degli orchestrali. Il direttore abbandona la sala per il suo camerino dove lo segue il giornalista per intervistarlo. Intanto nell’oratorio è la rivoluzione: tutto viene contestato, dal direttore agli spartiti; l’anarchia e il disordine regnano, con le pareti imbrattate da scritte e simboli di rivolta. D’un tratto l’edificio inizia a tremare, scosso da colpi sempre più forti finché una gigantesca palla di acciaio non sfonda i muri, e nel crollo muore l’arpista. Dopo momenti di confusione e grida di terrore torna il silenzio e la prova riprende. Di nuovo sul podio, il direttore d’orchestra impartisce i suoi ordini, come un dittatore.
Cast tecnico
Delegato RAI alla produzione: Fabio Storelli
Cast
Federico Fellini: voce dell’intervistatore
Premi
Curiosità
Critiche
E’ un film sconvolgente. Se ne possono fare differenti letture. Esse sono tutte vere, contemporanee, uguali. Voglio dire che non si può stabilire alcuna gerarchia tra la parabola sull’attuale caos politico italiano (ed il suo posto nell’attuale squilibrio planetario), la riflessione sul ruolo dei mezzi di comunicazione, la meditazione metafisica sulla funzione dell’uomo nella società, la sua necessità, il suo divenire, il suo rapporto con la creazione […] Ciò di cui certamente Fellini ci parla è della musica. Vale a dire dell’arte, della creazione, del mezzo per andare al di là dell’effimero, della morte, della banalità. Ciò che Fellini ci dice è che la mediocrità è insopportabile. Perché limitare la portata del film alla sua dimensione analizzabile, logica, parabolica, non vuol dir nulla. Prova d’orchestra è un grido straziante, metà appello e metà stigmatizzazione; è in ogni caso, e sotterraneamente, un grido di speranza. Poiché Fellini, malgrado la contraddizione dolorosa e commovente degli ultimi minuti, non ha mai smesso di sperare.
Come tutto il Fellini televisivo da Block-notes di un regista a I clowns, ha una leggerezza di tocco e una capacità di sintesi ormai difficili da trovare nelle opere maggiori. Nei ritratti degli orchestrali si conferma l’estro dell’antico caricaturista, ma esaltato in una dimensione gogoliana, mentre la figura del direttore è in parte l’occasione di uno sfogo autobiografico, in parte un’autocritica spinta al paradosso (dopo un ispirato discorso di impronta junghiana sulla necessità di suonare bene il proprio strumento, il personaggio spara una serie di ordini in tedesco). Nell’insieme il film, padroneggiato con superiore bravura, è un saggio genialmente contraddittorio: divertente e tristissimo, positivo e disperato, cattivante e stizzoso.
A un certo punto, nel momento di massima degradazione (e questo è detto in termini di strutture non di valori estetici: infatti sono probabilmente i momenti migliori del film) interviene il famoso maglio di ferro, preludio all’avvento di un nuovo ordine. Della Rivoluzione, della Restaurazione, della Provvidenza? No, è solo il simbolo di se stesso, il simbolo del simbolico. Nel momento della deriva, quando più nulla è codificato, si afferma l’ipotesi di un ritorno all’ordine del simbolico, ai linguaggi della certezza, alla compattezza, ferrea, dell’opera. Assieme alla grande palla di ferro è il cinema che rientra nella televisione, portandovi i suoi effetti speciali, le sue nuvole di fumo, le sue scenografie da studio, il fantastico, le forti emozioni, tutto ciò che il cinema può fare ma non la TV. E’ il cinema “per” la TV, è l’orchestra che ricomincia a suonare.